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I primi 100 anni di fotografia a Trieste
09 Dicembre 2010 - 06 Marzo 2011

I primi 100 anni di fotografia a Trieste


Foto di Autori Vari

INFORMAZIONI:
vernissage: Giovedì 9 dicembre 2010, alle ore 18.00
dove: Trieste (TS)
presso: Galleria San Giusto, via Conti 1/2
orari: martedì-giovedì-sabato dalle ore 17.00 alle ore 19.00
biglietti: ingresso libero
a cura di: Claudio Ernè

Una quarantina di ritratti di donne e ragazze realizzati tra la fine dell’Ottocento e i due primi decenni del successivo secolo, costituiscono il nucleo centrale di questa ricerca dedicata interamente all’armonia silenziosa, alla morbidezza delle forme, ai volti severi, allo stupore degli occhi. Ma allo stesso tempo ogni fotografia racconta anche i momenti di riflessione che hanno preceduto lo scatto dell’otturatore. Il lungo sinuoso aggirarsi dell’autore attorno al suo apparecchio e alla persona che si è affidata alla sua esperienza: la sistemazione delle luci, le tende del lucernaio che si spostano e lasciano filtrare ciò che nel cielo è già presente, il cavalletto che si abbassa, i mobili e la scenografia posticcia che entrano volutamente leggermente fuori fuoco sul vetro smerigliato. Al centro lei, quasi un lago cristallino, immobile, in attesa.
Il fotografo alla moda nella Trieste di quell’epoca era Francesco Benque, associato a Guglielmo Sebastianutti, ritrattista dell’alta società. Il loro “stabilimento” era ubicato in Piazza della Borsa, al numero 11. Giuseppe Franceschinis accoglieva invece i clienti al numero 35 del Corso, a pochi metri da piazza della Legna, ora Goldoni. L’atelier o meglio il “teatro di posa” era ospitato in una stanza con le pareti di vetro e un ampio lucernaio, realizzato all’ultimo piano dello stabile per usufruire di tutta la luce fornita dal sole e dai riflessi delle nuvole. Il primo studio a utilizzare a Trieste la luce elettrica fu quello di Emilia Manenizza, moglie di Francesco Penco, anch’egli fotografo di vaglia e reporter di straordinari eventi storici. “Assunzioni artistiche, si eseguisce lavori con qualsiasi tempo - piazza della Borsa 7” si legge sulla pubblicità del loro studio.
Giuseppe Wulz trasferì definitivamente nel 1891 il suo atelier al secondo piano di palazzo Hirschl, in contrada del Corso. “Locali vastissimi, comodi al Pubblico, tanto per la posizione centrica, quanto per la modernità della vastissima sala”. Ezio de Rota iniziò l’attività in via Barriera Vecchia nel 1903, dopo aver appreso il mestiere lavorando a bottega da Sebastianutti & Benque. Va citata anche l’attività di altri studi che dimostrano attraverso i cognomi dei loro titolari la composita varietà etnica dell’Impero di Francesco Giuseppe e la concentrazione di “nuovi arrivati” nel Litorale adriatico: Anton Jerkic, poi trasferitosi a Gorizia, Domenico Petener, Mario Circovich, Enea Ballarini, Edmund Lichtenstern, Giovanni Cividini, Paolo Marinovich, Alois Beer, sceso fino al mare dalla nativa Carinzia e autore di straordinarie rappresentazioni di moli, banchine e navi; e poi ancora Goldstein, Mallowitsh, Swatosch, Mioni.
Come si vede Trieste era ricca di fotografi professionisti ma anche di “amateur” che si cimentavano per diletto con obiettivi, lastre, cavalletti, otturatori. I due mondi avevano pochi punti in comune. I primi lavoravano prevalentemente nei loro atelier dove potevano controllare la qualità e la quantità della luce, dove i pesanti cavalletti consentivano pose sicure senza il rischio del “mosso” o dello sfocato, dove le fotocamere non avevano problemi di peso e di dimensioni e potevano accogliere nei loro telai lastre con una superficie più grande di quella di un quaderno. Al contrario gli “irregolari”, i dilettanti, gli “amateur”, realizzavano le loro immagini prevalentemente all’esterno, rischiando errori e insuccessi di ogni genere perché l’apparecchio lo tenevano in mano o tutt’al più collegato a un cavalletto leggero e di facile trasporto. Le lastre erano di piccole dimensioni, il mirino più che approssimativo ma consentiva di acchiappare sulla lastra persone e barche, alberi di navi e paesaggi, donne con l’ombrellino, contadini con le ceste della verdura, bambine, ufficiali. Gli altri, i professionisti mettevano in posa, cercavano l’inquadratura perfetta, la luce che non segnasse troppo i volti. I risultati di questo lavoro preciso, meticoloso, maniacale, si è conservato inalterato fino a oggi. Ribaltando di 180 gradi la tesi espressa da Oscar Wilde ne “Il ritratto di Dorian Grey”, i segni del fluire del tempo non hanno segnato gli occhi e le mani delle donne e delle ragazze che si sono offerte al vetro degli obiettivi e allo sguardo dei fotografi e le cui immagini sono scampate alle distruzione e all’oblio, restando congelate in centinaia di “carte de visite”. Al di la della definizione si tratta di un cartoncino di qualche decina di centimetri quadrati, sul quale veniva incollata la fotografia originale, stampata su carta sottile. La buona qualità dei cartoncini impiegati dai fotografi congiunta a quella delle colle ha salvato la bellezza degli occhi, dei volti e delle mani.
Con questa terza mostra fotografica presso la Galleria San Giusto di Trieste si conferma la costruttiva collaborazione tra l’associazione culturale PHOTO-IMAGO, attiva in campo europeo da quasi trent’anni, l’ITIS, Azienda Pubblica di Servizi alla Persona, istituzione storica cittadina e la gastronomia EPPINGER che gentilmente proporrà i propri prodotti in occasione dell’inaugurazione.

PER ULTERIORI INFORMAZIONI:
info@photoimago.com


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