Foto di Chiara Romanini
INFORMAZIONI:
vernissage: 4 settembre 2021, ore 21
dove: Vimercate frazione Oreno (MB)
presso: Spazio Espositivo La Sorgente, Piazza S. Michele 5
orari: v. locandina
biglietti: ingresso libero
a cura di: Presentazione Antonio Riccardo Marchesi
Neri luminosi
Per “POETA NERO”
Talvolta l’arte è un paesaggio che sembra non appartenerci più:
esiste fuori di noi e in quell’altro mondo costruisce le sue forme con
visionaria esattezza. L’ultima mostra di Chiara Romanini, Poeta
nero (il titolo evoca una poesia di Antonin Artaud) ne è la prova.
Osservando le singole fotografie, si è pervasi da una percezione
fluttuante, che ammutolisce il linguaggio comune. Restare in questa
soglia, fare arte dentro questa soglia, ci insegna che un senso troppo
preciso cancella ogni forma di bellezza e che solo un paesaggio non
troppo definito cattura lo spettatore in una ipnosi cosciente. La
fotografia – letteralmente “scrittura della luce” – progetta qui il suo
essere simultaneamente luce e oscurità, corpuscolo e onda della
materia visiva, sostanza fantasmatica del reale. E il reale è la magica
suggestione di autoritratti che delineano una perturbata
autobiografia psichica, la costruzione di un corpo di donna su sfondi
di macerie o muri o specchi o veli. Le responsabilità di un essere
umano non sono soltanto le sue azioni coscienti, ma anche i suoi
stessi sogni. E i sogni creano il reale assoluto, come teorizzava
Novalis: la poesia di cui siamo capaci di portare il peso, che è
bellezza e tormento.
Secondo la coreografa Marta Graham «Un artista cammina e la sua
opera lo segue come Euridice. Se si volta scompare, non c’è più
nulla. Un creatore non guarda mai nulla dietro di sé, avanza fino
alla morte: tocca agli altri il compito di sezionare e di esaminare la
sua opera». Chiara, con la sua coreografia di autoritratti, sembra
lavorare in questo senso, dominata da quello che il poeta Aleksandr
Blok definisce “un senso di malinconia per ciò che è terrestre”.
Ritratta sull’altalena o mentre scompare in una porta o in uno
specchio, o mentre osserva telone di un circo, il corpo stretto da un
bustino o in dialogo con le pieghe di una stoffa, Chiara si reinventa
prigioniera nell’atto del suo liberarsi. Non si comprende, in queste
figure-talismani, dove inizi la gioia della rappresentazione e dove si
consumi il dolore dello svelamento. Ma, come scrive Giorgio
Agamben: «La metafora sostituisce una cosa con un’altra non tanto
per giungere a questa quanto per sfuggire a quella».
E in questo percettibile movimento di fuga Chiara Romanini si
ritrova. Mentre fugge, trova la via del ritorno a casa. Fratturata in
specchi e riflessi, dove il suo interminabile autoritratto si nasconde
e si svela, ricompone se stessa come ninfa sempre nascente,
nell’anima e nel corpo. Questa ri-creazione di sé è l’oggetto
prediletto della sua indagine fra il nero e la luce. «Ecco perché,
nonostante il nero sia il colore delle tenebre, esistono neri
“luminosi”, ovvero neri che brillano prima di oscurare, neri che
sono brillanti prima di essere neri” (Michel Pastoureau). Fotografaregista delle proprie immagini, Chiara Romanini rifiuta il fluire del
mondo come universo di immagini e ferma le sue visioni in
“sculture” fotografiche, che hanno la felice sensualità del corpo e la
malinconica magia del fantasma.
Marco Ercolani